martedì 31 luglio 2007

Nuraghi : come furono costruiti ?

A questa domanda, cercherò di dare una risposta il più possibile logica e plausibile.
La mia è solo un’ipotesi : a coronamento di questo appassionato studio sulla Civiltà Nuragica, e sulla base delle conoscenze attuali.
Ma è un’ipotesi fondata su basi scientifiche e razionali.

Ne esce fuori il ritratto di un Popolo “costruttore di Torri”, capace di edificare monumenti stupefacenti, con l’ausilio di mezzi assai scarsi e rudimentali.
Un Popolo pacifico, laborioso e forte, unito da potenti legami di solidarietà e di amicizia, capace di sforzi quasi sovrumani, per realizzare lo scopo primario di ogni specie esistente sul nostro pianeta : la Vita.

Molte sono le domande a cui non ho trovato risposta : forse, altri studi e ricerche, in futuro, saranno in grado di fare chiarezza.


Indice :

- Nuraghe come abitazione.

- Il Nuraghe è la vita.

- Nuraghe, abitazione ideale.
- Vita nuragica.

- Divisione del lavoro.

- Quando si costruiva.

- Dimensioni dei Nuraghi.

- Tempo di costruzione.

- Nuraghe unico.

- Gli attrezzi.

- Lo stagno e il bronzo.

- Le cave.

- Il trasporto.

- La rampa di legno.

- Posa dei conci.

- Trasporto sulla rampa. 

- Nascita della tholos. 

-Statica della tholos.

lunedì 30 luglio 2007

Nascita della tholos.

Per la casa sarebbe bastato costruirsi una capanna di legno (a giudicare dagli ambienti ricostruiti nelle Domus de janas), ma anche di pietra, con il tetto di legno e paglia : purtroppo, queste case bruciavano spesso, sia a causa del fuoco interno, sempre acceso, sia durante gli incendi estivi.
Inoltre, la capanna non dava alcuna protezione termica : si moriva di caldo, d’estate ; si moriva di freddo, d’inverno. E, soprattutto, nessuna sicurezza.

Il tetto di pietra (a cupola) era poco stabile : sicuramente qualcuno avrà provato a realizzarlo, ma la spinta orizzontale, fatalmente, riduceva tutto a un cumulo di macerie.
L’idea di rinforzare le pareti è stata una necessità : il secondo guscio, con pietre grandi, assorbe la spinta e permette di costruire la “cupola”.
Non solo, ma se i due gusci, quello interno con la tholos e quello esterno, sono interconnessi come nei Nuraghi, e se lo spessore è sufficientemente grande, allora le pietre aggettanti non creano più alcuna spinta e sono in equilibrio ad ogni livello.
   In questo modo è possibile costruire la tholos senza centinatura lignea, necessaria, invece, per l’arco e la cupola .

Il Nuraghe è un esempio di alta architettura, come i ponti romani o le cupole cinquecentesche.

La tholos nasce come naturale conseguenza durante il lavoro di copertura con le piattabande : infatti, è sufficiente una lastra più corta, perché si pensi immediatamente ad avvicinare le murature, facendo aggettare i sassi degli ultimi filari.
Da qui a chiudere tutta la cupola con i sassi aggettanti, il passo è breve.
Nasce, indipendentemente, ovunque si costruisca con le pietre.

Forse i primi Nuraghi erano a un solo piano, con uno o più soppalchi lignei. Dal soppalco più alto, un buco nel muro (scala di camera) permetteva di raggiungere agevolmente il terrazzo, e successivamente, i piani superiori.
Ma presto, con la necessità di migliorare la funzione visiva, è stato giocoforza costruire un secondo o un terzo piano. In tal modo aumentava anche lo spazio fruibile.
La scoperta che la rampa interna non indeboliva più di tanto la costruzione, ha permesso un ulteriore passo avanti : la possibilità di salire sulla terrazza, con la scala che partiva da terra.

Perché i piani plurimi ?

Primo, per la sicurezza : un unico accesso ; tutto chiuso, nello stesso edificio.
Ma non basta a giustificare la maggior fatica.
Nell’altezza sta la funzione principale del nuraghe “Torre” : vede ed è visto !
I nuraghi a due o tre piani, superavano in altezza le chiome degli alberi : dal terrazzo non si vedevano i nemici arrivare, perché nascosti dal folto del bosco : perciò non potevano servire a questo scopo. I presunti guerrieri sarebbero stati colti di sorpresa, sempre, dai nemici che sbucavano dal bosco (a meno di non vivere sempre chiusi all’interno, come per le torri saracene : con la differenza, che i nuraghi erano ciechi !).

Invece, la notevole altezza del Nuraghe serviva per osservare lontano : ma più che i nemici, serviva per avvistare gli incendi estivi e avvisare gli abitanti del villaggio e di quelli vicini.

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giovedì 26 luglio 2007

Trasporto sulla rampa.

Dopo aver tracciato il disegno per terra, si posizionava la prima fila di pietre, utilizzando, in genere, le più grandi, spesso anche non squadrate.
A questo punto, il progetto era già ben definito, almeno in pianta, e si iniziava il lavoro di sollevamento dei conci.
Non è possibile trasportare i blocchi trascinandoli sulla muratura già costruita : il peso farebbe smuovere tutto, con il rischio di scivolamento dei sassi : il muro perderebbe tutta la sua stabilità.
Il trasporto deve avvenire sempre su rampa lignea esterna.
Si costruiva la rampa di legno, utilizzando il legname preparato nel corso dell’anno precedente.
Era necessaria una rampa che girava intorno al perimetro esterno del nuraghe, larga 2÷3 metri.
La pendenza doveva essere molto bassa : più grandi erano le pietre, minore doveva essere l’inclinazione, per ridurre la forza di trazione : una pendenza media del 10% poteva essere ideale.
Ma l’attrito slitta-rampa era troppo alto (0,30) e bisognava ridurlo. Come ?
Semplicemente, spalmando di grasso animale sia la slitta, sia i tronchi della rampa : il coefficiente di attrito, con il legno lubrificato, può ridursi di cinque÷sei volte, fino ad assumere un valore minore di 0,08 : appena l’otto per cento del peso !
Che sommato alla quota dovuta alla pendenza della rampa (10%) fa : 0,10 + 0,08 = 0,18
Meno del 20% del peso : ciò significa che un blocco di 600 kg (un quarto di metro cubo) che è il concio medio, può essere trainato con una forza di 120 kg : solo 4 persone !
La rampa doveva essere divisa, longitudinalmente, da un bordo in legno, a formare una specie di guida per la slitta : una metà veniva spalmata di grasso, sull’altra metà salivano gli uomini che tiravano le corde.

E l’architrave, in genere non superiore al metro cubo, pesante meno di 3000 kg, se basalto o granito, o meno se calcare o trachite, poteva essere trainato da appena 20 persone, neanche particolarmente robuste. (Visto che l’architrave doveva essere sollevato di un paio di metri, potevano essere sufficienti anche 10÷12 persone).
Inoltre la pendenza della rampa poteva essere più bassa per i primi metri di altezza, quando le pietre erano più grosse, e poi diventare via via più ripida.
Per di più, i sassi veramente grossi, erano quasi soltanto quelli del perimetro più esterno del Nuraghe (quelli “a vista”).

Il blocco si portava fino ad una quota superiore al piano di posa, poi con uno scivolo, si faceva dolcemente scendere in posizione definitiva, o quasi. In questo modo non era mai necessario sollevare le pietre : cosa molto difficile, senza una buona gru !
Per i sassi più piccoli, dopo il livello architrave, era solo un divertimento ! Così come per i materiali di riempimento : minutame + terra.

Spesso l’argilla veniva impastata con acqua, come per i vasi, e con essa si poteva rifinire l’interno, quasi un intonaco. Terminata la costruzione, bastava accendere un falò nelle camere interne, e l’argilla induriva come un sasso. Esternamente, invece, era più difficile, perciò l’argilla non si è conservata.

I pilastri di sostegno della rampa servivano anche come guida per la corretta inclinazione della muratura, che nei Nuraghi è sempre perfetta.
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Posa dei conci.

L’attrito tra slitta di legno (carica con il blocco di pietra) e rampa di legno, è pari a 0,30 : cioè il 30% del peso della pietra. A questa forza si deve sommare la componente legata alla pendenza della rampa.
I Nuragici avevano capito assai presto, che la difficoltà principale era legata al trasporto delle pietre in altezza.
Se i Nuraghi sono stati costruiti, questo problema è stato da loro brillantemente risolto.
Come ?
Più con l’intelligenza che con la forza.
Ci sono pietre, usate per l’architrave, che pesano anche 5÷6 tonnellate.
E’ vero che, prima di loro, gli Egiziani avevano costruito le piramidi, ma laggiù avevano a disposizione migliaia di uomini, e i Nuragici erano pochi.
Forse, per i nuraghi complessi più grandi, si potevano trovare 50÷60 persone, ma per i primi Monotorre, non credo che si riuscisse a radunare più di 15÷20 uomini.
Forti sì, ma sempre persone !

Il lavoro con massi così grandi, oltre che complesso e difficile, era anche rischioso e bisognava evitare incidenti …. sul lavoro, spesso mortali.
In ogni "villaggio diffuso” c’era un “Maestro” costruttore di Nuraghi : un giovane promettente, in gamba, appassionato, che andava a istruirsi dove, nei dintorni, era in atto la costruzione di un Nuraghe e così imparava il mestiere. Questo per l’ “Architetto capo” , colui che dirigeva il lavoro in tutte le sue fasi, dalla cava di pietre, al progetto, alla realizzazione.
Per tutti gli altri, come era in uso a quei tempi, la partecipazione a tutti i lavori del villaggio, era cosa comune : ogni uomo o donna (sulla base della suddivisione dei lavori maschili e femminili) prendeva parte a tutti i lavori svolti.
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mercoledì 25 luglio 2007

Rampa di legno.

Un ponte di legno, costruito al giorno d’oggi, può avere una resistenza sufficiente a permettere il passaggio di mezzi di peso fino a 60 tonnellate.
I Nuragici erano in grado di costruire passerelle larghe due÷tre metri, sufficientemente resistenti per permettere il trascinamento di blocchi del peso massimo, tra quelli usati nei Nuraghi, di due o tre tonnellate ( se si escludono pochi casi, eccezionali ).
La rampa interna, come sostiene Laner *, sicuramente può essere stata usata in molte costruzioni, soprattutto quando i conci da trasportare erano più piccoli. Ma possiede anche alcuni fattori negativi che ne limitano l’uso : la ripidità, e la curvatura.
La ripidità aumenta lo sforzo necessario per portare su i blocchi, mentre la curvatura rende difficile il traino quando è necessario un numero elevato di persone.
La rampa di legno, perpendicolare al muro, può essere un'ottima soluzione in molti casi.

La rampa esterna al Nuraghe,  che segue l’andamento del muro esterno (ipotesi G. Manca *), è una buona soluzione perché permette di salire contemporaneamente al muro, con una pendenza molto bassa.
L’unica differenza, rispetto all’ipotesi Manca, è che non può essere posizionata a sbalzo (non sarebbe stabile, sotto il peso dei blocchi, e sconvolgerebbe la muratura), ma deve essere poggiata su pali di legno, saldamente ancorati a terra. I fori, trovati sulle pareti esterne dei Nuraghi, potevano servire, forse, per ancorare la rampa ed evitare che si muovesse troppo durante il trasporto dei massi ( come si fa oggi con i ponteggi per le costruzioni ).
Sulla rampa può essere costruito, oltre una certa altezza, anche un solido parapetto per evitare cadute.
Se i Nuragici conoscevano l’uso del trapano per forare il legno, azionato a mano, avevano la possibilità di eseguire chiodature lignee molto resistenti ; oppure il foro poteva essere fatto con grossi tondini di rame, arroventati nel fuoco. In ogni caso, la semplicità delle legature e la robustezza delle corde, permettevano qualunque costruzione.

Il legname si tagliava in estate, quando con la siccità, le piante entravano nel periodo di riposo vegetativo. Le frasche verdi servivano come foraggio per il gregge e gli animali ; i tronchi per la carpenteria e gli attrezzi ; i rimasugli per il fuoco.
* Laner. Accabadora. Franco Angeli, 1999.
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martedì 24 luglio 2007

Il trasporto dei conci di pietra. (nella costruzione dei Nuraghi)

Tutti i Nuraghi sono stati costruiti con blocchi di pietra sempre medio-grandi, e perciò molto pesanti. Il loro peso, pur essendo estremamente variabile, può oscillare, mediamente, tra i cinque e i dieci quintali.
I blocchi dei primi filari, in genere fino all'architrave, pesano spesso qualche tonnellata.
Sollevarli con le corde non era possibile perché pericoloso.
Rotolarli era più semplice, ma poco pratico : nelle lunghe distanze, ci voleva troppo tempo per ciascun blocco.
Per trasportarli dal luogo di reperimento alla base del Nuraghe, il metodo migliore poteva essere quello di caricarli su una robusta slitta di legno, che veniva trainata a braccia o con l'ausilio dei buoi.
In genere, nei terreni in pendenza, la slitta era più maneggevole (poteva arrivare ovunque), mentre il carro era più adatto in pianura e per lunghe distanze. Inoltre, per carichi così pesanti, era necessaria una buona strada. Che non esisteva.
In discesa, la slitta poteva essere trainata (spesso frenata) dall’uomo. Nelle cave di marmo di Carrara, un solo uomo riusciva a guidare, in discesa, una slitta con sopra blocchi di 50 quintali.
In pianura o in salita, l’aiuto di una o più coppie di buoi era gradito.

Le “macchine” utilizzate per la costruzione dei Nuraghi sono ipotizzate sulla base del periodo storico durante il quale è avvenuta la costruzione.

Macchine escluse :
1) le barelle : le pietre pesano troppo, ed è più facile trainarle ; anche il minutame di riempimento e la terra, si trainano caricando una slitta-carriola.
2) No, a carrucole, né argani : sono macchine pericolose, perché le corde possono spezzarsi, e la caduta dall’alto di simili massi, crea incidenti mortali e sconquassi costruttivi.
Le macchine utilizzate erano : la leva, la slitta, il piano inclinato.


A questo punto, non restava che portarli in cima al Nuraghe.
Come ?
Non era indicata la rampa di terra : necessitava di troppo lavoro per essere costruita : inoltre, l'attrito eccessivo terra-slitta, aggiunto alla pendenza, avrebbe fatto aumentare lo sforzo a dismisura.

La soluzione più semplice e pratica era la  rampa di legno.

 

lunedì 23 luglio 2007

Le cave.

I Nuraghi sono tutti in posizione dominante, ma quasi mai nel punto più alto (Lilliu) : questo perché era più facile portare i sassi in discesa.

I Nuragici reperivano i blocchi generalmente nelle vicinanze dei Nuraghi. Ci sono zone, come intorno a Macomèr, dove la campagna è letteralmente ricoperta di blocchi di trachite o basalto, diffusi in superficie e facilmente utilizzabili. Bastava un’occhiata per la scelta dei migliori, qualche colpo ben assestato per squadrarli grossolanamente, e via verso il sito dove sorgeva il nuovo Nuraghe.
In alternativa era necessario avere una cava di estrazione nelle vicinanze.

La trachite è una roccia abbastanza tenera e lavorabile facilmente. Il basalto, più duro e compatto, solitamente si trova più o meno fratturato in superficie, quindi i tagli erano ridotti.
In ogni caso, con notevole fatica, i blocchi dovevano essere estratti.
Si procedeva posizionando i cunei in una frattura della roccia ( cunei di legno molto secco e duro, oppure di bronzo ), tra due piastre e si battevano con le mazze di legno, fino al rifiuto di ogni ulteriore penetrazione. Questo per tutta la lunghezza del blocco : un cuneo ogni 20-30-40 cm, in base alla durezza della pietra. Sui cunei di legno si gettava acqua per impregnarli ben bene in modo che, aumentando di volume, spaccassero la roccia. Per quelli di bronzo, si battevano a rotazione, facendoli penetrare fino a che la pietra cedeva.
Si ripetevano le operazioni fino ad ottenere blocchi della grandezza voluta.

I blocchi dovevano essere lavorati sulla faccia esterna, ma anche sulla faccia superiore e su quella inferiore, per formare superfici piane e, possibilmente, parallele.
Ideale era il blocco trapezoidale, ma per ottenerlo era necessaria una lunga lavorazione, che spesso non si riteneva necessaria.

Forse, negli anni in cui sono stati costruiti i Nuraghi più antichi, mancavano anche i più elementari strumenti di bronzo. Con soli attrezzi di …pietra, la lavorazione dei conci si limitava all’essenziale : qui i sassi sono lavorati pochissimo : solo, ma non sempre, la superficie esterna ; per il resto sono appena sgrossati.

La pietra bisogna conoscerla, saperla prendere per il verso giusto, trovare la linea più fragile : questo il cavatore nuragico esperto lo sa, per cui riesce a tagliarla, spaccarla, sbozzarla, nella maniera migliore, non con la forza, ma con l’intelligenza.

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sabato 21 luglio 2007

Diabete in Sardegna.

Parliamo del diabete di tipo I ( diabete giovanile ), che colpisce i bambini.
E’ insulino-dipendente, nel senso che, per tutta la vita, si è costretti a prendere l’insulina.
Soprattutto se il bambino si ammala da piccolo, la malattia sconvolge la vita di una famiglia, oltre quella del malato.
In Sardegna, dicono le statistiche, l’incidenza della malattia è circa cinque volte superiore che nel resto d’Italia. Si ammalano 36 bambini ogni centomila abitanti, con una punta massima di 45 in provincia di Oristano.
Probabilmente c’entrano questioni genetiche, ma è stato dimostrato che sono i fattori ambientali che incidono maggiormente.
L’incidenza è in crescita, a partire dagli ultimi 40 anni.

Il diabete di tipo I è una malattia autoimmune : è il Sistema Immunitario del piccolo paziente che attacca le cellule beta del pancreas, distruggendole.
Importante è, allora, la prevenzione.

Recentissimi studi sembrano indicare una forte responsabilità delle cure antibiotiche, a volte prescritte con troppa superficialità ai bambini con un po’ d’influenza, e spesso non strettamente necessarie, se non completamente inutili.
Questo spiega il forte aumento dell’incidenza negli ultimi anni.
Gli antibiotici distruggono anche i batteri buoni, alterando in maniera irreversibile il Sistema Immunitario dei piccoli pazienti.
Altre ricerche sembrano puntare il dito sulla caseina, la principale proteina del latte e dei formaggi : pare che un loro consumo elevato possa favorire la malattia.
Sarebbe sufficiente una ricerca in proposito ( sviluppata in Sardegna, per ovvi motivi ), e nel giro di pochi anni si potrebbe avere la prova delle principali cause scatenanti della malattia.
E un’arma efficace per la prevenzione.

venerdì 20 luglio 2007

Lo stagno e il bronzo.

In Sardegna manca lo stagno : quindi gli antichi Nuragici difficilmente conoscevano il bronzo, nel senso che non erano in grado di produrlo e lavorarlo.
L’industria del bronzo, più realisticamente, fu portata in Sardegna dai Ciprioti dopo il XIII secolo a.C. e poi dai Fenici,. Dopo questo periodo si cominciano a trovare pani, importati, di rame e stagno, e forme fusorie.
Lo stagno proveniva, nell’antichità, solo dalla Cornovaglia (ma pare che iniziassero a commerciarlo i Fenici) e dall’ Oriente : i primi naviganti che lo hanno portato in Sardegna sono stati, sembra, i Ciprioti, dopo il XIII secolo a.C.


Gli attrezzi fondamentali per la vita erano :
- I coltelli, necessari come l’aria.
- Le accette, grosse e pesanti, per tagliare gli alberi.

Quelli, invece, per lavorare la pietra erano :
- Il cuneo, di legno ; più raramente, di bronzo.
- Gli scalpelli, per tagliare i blocchi. Di pietra dura (poco efficaci); di bronzo, per le pietre più tenere.
(Gli Egizi, nelle cave, hanno usato seghe di bronzo, con la sabbia e raffreddate ad acqua. Ma era la sabbia quarzosa che tagliava la roccia).
- La mazza, di legno, per battere sui cunei, nelle cave. Di pietra, per sbozzare i conci grossolanamente, e per rifinirli.

Le mazze di bronzo trovate sono, quasi tutte, piccole e inadatte per lavorare le pietre, in special modo quelle più dure.
 In genere, sono datate dopo il 1100 a.C. Si può dire, però, che dopo questa data, la tecnologia e gli strumenti di bronzo cominciano ad essere di uso comune.

Ma i Nuraghi erano stati tutti costruiti.
Perciò, tutti i blocchi per edificare tutti i Nuraghi, sono stati lavorati con attrezzi di legno e pietra.

Il bronzo è una lega di rame e stagno. Il solo rame fonde a una temperatura di circa 1100 °C , mentre con l’aggiunta di stagno, che ha una temperatura di fusione molto bassa , si ottiene il duplice scopo di abbassare il punto di fusione della lega (quindi un lavoro più facile), e di aumentare la durezza della lega stessa.
La percentuale di stagno più comunemente usata era del 10%. Ma poteva variare in base all’utilizzo e alla disponibilità dello stagno stesso, più raro e più difficile da reperire, rispetto al rame.
Aumentando la percentuale di stagno aumenta la durezza del bronzo, ma aumenta anche la fragilità. Ottenuto con una percentuale di stagno superiore (dal 10 al 20% rispetto al rame), il bronzo arriva ad avere una durezza paragonabile a quella del ferro fucinato (non acciaio). Un po' più adatte, quindi, per la costruzione di attrezzi come la mazza, i mazzuoli e gli scalpelli, per la lavorazione delle pietre.

Gli attrezzi di bronzo, quanto erano diffusi, prima del 1100 a.C.?
Sicuramente qualche esemplare era giunto nell’Isola, portato da naviganti orientali, ma, forse, erano molto rari.
Gli attrezzi erano di legno e, soprattutto, di pietra.
I bronzetti sono di epoca molto posteriore, in piena età del ferro, e c’erano già i Fenici.
Probabilmente sono stati fusi per riciclare gli attrezzi di bronzo, ormai diventati inutili.

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giovedì 19 luglio 2007

Gli attrezzi.

La vita dell’uomo è sempre stata volta alla ricerca degli attrezzi e delle macchine, che facilitassero il lavoro : ma i soli materiali che l’uomo preistorico poteva adoperare erano le pietre e il legno.
Dalla pietra prende il nome un’epoca, la più estesa, che va dagli albori della vita, fino all’età dei metalli, appena 5.000 anni fa.
Con gli strumenti di pietra l’uomo preistorico cercava di fare tutto (quello che poteva !) : i coltelli, l’accetta, lo scalpello, la zappa, le macine, i recipienti, le mazze, ecc.

In Sardegna sono stati trovati strumenti di bronzo, per molti usi, ma generalmente inadatti per la lavorazione della pietra. Parlo di mazze, mazzette, cunei e scalpelli, con dimensioni idonee per lavorare i grossi blocchi, e per estrarli dalle cave.
Forse, non ne avevano.
Almeno fino all’arrivo più frequente e continuo dei naviganti orientali.

Dopo il 1300 a. C. , si cominciano a vedere tracce e indizi di un aumento dell’attività metallurgica. Forse, si comincia a importare o produrre tutto il necessario solo dopo il 1100 a.C.
La letteratura in proposito, è avara di notizie.
Nei musei non ho mai visto un’accetta, un cuneo, uno scalpello, una mazza degni di questo nome.
Nei libri non ne ho trovato traccia !
L’unica cosa che si può dire è che siano stati “tutti, ma proprio tutti”, portati via e riciclati dagli abitanti delle epoche successive : in fondo, il bronzo era prezioso per tutti !
Possibile che tra i milioni di oggetti ritrovati non ve ne sia uno per lavorare la pietra o il legname ?
Risposta : probabilmente, i Nuragici più antichi, non ne avevano !

Usavano attrezzi di legno e di pietra. Ma se così fosse, sono stati ancora più abili e formidabili nel realizzare ciò che hanno fatto !

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mercoledì 18 luglio 2007

Nuraghe unico.

Ogni Nuraghe è diverso da tutti gli altri.
Varia in funzione dei costruttori, della loro fantasia, del loro gusto per il bello e il pratico, delle loro esigenze, pur conservando le caratteristiche costruttive e quelle legate alla sua funzione.

Varia in funzione del sito dove sorgeva, per i materiali di cui era fatto, per le dimensioni, per le esigenze dei suoi abitanti : ogni Nuraghe è un’opera unica e portentosa.
Anche se qualche Nuraghe è crollato nel tempo, vuoi per la scarsa abilità dei costruttori, o per la scarsa resistenza delle pietre usate, o forse soltanto per le ingiurie del tempo, molti di essi sono ancora lì a dimostrare la propria grandiosità, la propria ferma e indistruttibile capacità di sfidare i secoli.

A dimostrazione di una tecnica costruttiva ammirevole, un’intima conoscenza della pietra e una profonda padronanza della scienza delle costruzioni.
Il Nuraghe era fatto per durare. 

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sabato 14 luglio 2007

Tempo di costruzione.

Si può tentare una grossolana valutazione del tempo occorrente per costruire un Nuraghe sulla base del lavoro necessario e dei materiali utilizzati.
Non parlo di S.Antine di Torralba.
Parlo dei Nuraghi monotorre, che sono quelli costruiti per primi (Lilliu), e che sono anche i più diffusi : le altre strutture, nei nuraghi complessi, sono state generalmente aggiunte, quando la popolazione cresceva, o anche per altre, sopravvenute, esigenze.

Si calcola il volume di pietrame per un Nuraghe del diametro di 15 metri alla base e un’altezza pari a 21 metri : quindi un Nuraghe molto grande, tra i più grandi in assoluto. Con una scarpa (inclinazione del muro, verso l’interno ) del 12%, il diametro di sommità risulta essere di 10 metri.

V = 3,14 x (R x R + r x r )/2 x H = 3,14 x ( 7,5 x 7,5 + 5 x 5 )/2 x 21 =
= 2700 metri cubi (circa, vuoto per pieno)

Si considera vuoto per pieno per due motivi :
1.- per considerare il tempo perduto per la realizzazione dei volumi interni ;
2.- perché tutti i volumi interni utili, sommati fra di loro, sono solo una piccola parte del volume totale (circa un settimo), Cioè, in un nuraghe la parte piena è molto, ma molto maggiore del volume utilizzabile .
In un secondo momento vedremo perché, ma nei nuraghi il rapporto tra volume pieno e volume vuoto può variare (mediamente), da un minimo di quattro a un massimo di dieci . Tutto ciò senza considerare i casi estremi, come per esempio i nuraghi a corridoio, che sono poco più di un mucchio di pietre (anche se sufficienti a svolgere la funzione per la quale erano stati costruiti).

Ma torniamo ai tempi di costruzione : due persone dei nostri tempi, con il materiale nelle vicinanze, tirano su circa 10 metri cubi di muro al giorno. Consideriamone la metà (per tener conto delle difficoltà insite nelle grandi dimensioni dei sassi) ; quindi :
- 4 persone fanno 10 metri cubi / al giorno, con le pietre in loco.

Sono necessari 270 giorni per costruire il Nuraghe.

Però il materiale non stava tutto nei dintorni.
Consideriamo allora 5 persone addette al trasporto, con slitte trainate da una coppia di buoi, che caricano 0,4 metri cubi a viaggio e fanno “solo” cinque viaggi al giorno :

5 (persone) x 0,4 (metri cubi) x 5 (viaggi) = 10 metri cubi / al giorno

Ma il materiale va preparato alla cava, tagliato e grossolanamente squadrato, con la faccia esterna più lavorata : cinque persone, anche qui, riescono a preparare 10 metri cubi al giorno. (Queste persone, in genere, non erano necessarie, perché si raccoglievano le pietre sparse in superficie : era sufficiente scegliere le migliori, lavorarle grossolanamente, e caricarle sulle slitte).
Quindi in meno di un anno, considerate anche le feste, si può costruire un Nuraghe monotorre tra i più grandi in assoluto, con 15÷20 persone. Il 95% dei Nuraghi sono più piccoli di quello considerato. Se poi i sassi ( vedere zona intorno a Macomèr ) si trovano in superficie e necessitano solo di una leggera squadratura, i tempi si dimezzano.

Forse fare quattro conti aiuta a valutare meglio ciò di cui si parla.
Ripetendo i calcoli e le considerazioni per un Nuraghe piccolo, con un solo piano, senza scala interna, le pietre nei dintorni, sono sufficienti appena una trentina di giorni, con meno di dieci persone.

Mentre per un Nuraghe medio ( diametro di base di 13 metri ) e due camere sovrapposte risultano necessari appena cinque mesi di lavorazione con dieci÷quindici persone.


E’ chiaro che i tempi possono variare in funzione di numerosi fattori come : l’accuratezza della costruzione ; il tipo e la durezza delle pietre ; le attrezzature disponibili ; la distanza di reperibilità del materiale ; il legname per le impalcature ; la capacità del personale impiegato ; il numero delle persone impiegate, e cosi via, ma i tempi medi sono quelli considerati e non sono certo rilevanti come si è sempre creduto.
Anche l’organizzazione del lavoro poteva essere diversa : per costruire, per esempio, i primi due-tre metri di muro (in altezza), a causa delle grandi dimensioni dei sassi, si lavorava tutti insieme, prima al trasporto e poi alla messa in opera. Anche i tempi erano più lunghi, nella prima fase, ma più rapidi quando i conci diminuivano di grandezza.

Nuraghe medio.
Si calcola il volume di pietrame necessario per la costruzione di un nuraghe medio, con un diametro di base pari a 13,30 m e un’altezza di 13,00 metri. Con una scarpa pari al 12%, il diametro di sommità risulta essere di 10,20 metri.

V = 3,14 x ( 6,65 x 6,65 + 5,10 x 5,10 ) / 2 x 13,00 = 1.430 metri cubi.

Sono necessari 143 giorni per costruire il Nuraghe, con 10÷15 persone.

Nuraghe piccolo.
Si calcola il volume di pietrame necessario per la costruzione di un Nuraghe piccolo, con un diametro di base pari a 9 metri e un’altezza di 8 metri.

V = 3,14 x ( 4,5 x 4,5 + 3,5 x 3,5 ) /2 x 8 = 400 metri cubi.

Continua ...

venerdì 13 luglio 2007

Dimensioni dei Nuraghi.

Da rilevamenti sistematici di tutti i Nuraghi della zona del Marghine-Planargia, effettuato da A. Moravetti, risulta che i Nuraghi sono :
- Monotorre per il 79%
- Complessi per il 9%
- Protonuraghi per il 12%

In altre zone, le percentuali potranno essere leggermente diverse e, anche se qualche stima parla di un numero maggiore di nuraghi complessi, il metodo è corretto : soltanto, è auspicabile che tale rilevamento venga esteso a tutta la Sardegna.

Come risulta dalle misure effettuate in numerosi rilievi, i diametri di base più diffusi dei Nuraghi sono compresi tra 11 e 15 metri. Con una netta prevalenza di quelli con diametro di 12÷13 metri.
La scarpa (inclinazione della muratura) varia tra l’8 e il 16%.
Le camere ogivali hanno un’altezza, in media, di 6÷7 metri. Poiché il diametro dei nuraghi diminuisce man mano che si sale in alto (tronco di cono), le camere superiori sono in genere più piccole : 5÷6 metri di altezza per il secondo piano e 4÷5 metri per il terzo.
Di conseguenza, l’altezza stimata per i Nuraghi a due piani è di circa 12÷15 metri, e per quelli a tre piani di 18÷22 metri.
Dice G. Manca, che tutti i Nuraghi erano almeno a due piani, molti a 3.

giovedì 12 luglio 2007

Quando si costruiva.

In età nuragica, ogni gruppo familiare si costruiva, con l’aiuto dei vicini, un Nuraghe per vivere.
I rapporti di amicizia e di parentela tra gli abitanti di una certa zona ( villaggio diffuso ), erano molto stretti. E nel periodo in cui c’era meno lavoro in campagna e per il gregge (in genere durante l’estate), si riunivano tutti e si costruiva il Nuraghe.
Chi erano i partecipanti ?
Tutti gli uomini validi e liberi da altre attività, del circondario. (Forse, 20 persone : di più o di meno, a seconda delle dimensioni delle torri). Tutti si sentivano coinvolti e partecipi, in una solidarietà stretta e regolata da norme morali ferree, legate alla sopravvivenza. Tutti lavoravano come se fosse per sé, perché nello stesso modo sarebbero stati ricambiati.
Era un lavoro lungo e faticoso, anche se eccezionale : tutte le famiglie del villaggio diffuso venivano coinvolte, con tutto ciò che avevano. Era uno sforzo sovrumano, ma era anche una festa : il lavoro comune rafforzava i legami di amicizia tra le persone.
E perché solo così, la comunità cresceva e prosperava.
Il Nuraghe veniva costruito d’estate. La stagione propizia andava da maggio a ottobre, per vari motivi :
a) si poteva lavorare solo con la terra asciutta, per non rischiare di scivolare e finire sotto un masso ;
b) la stagione secca comportava meno lavori sia con il gregge, sia con la campagna ;
c) le giornate più lunghe permettevano un miglior utilizzo del tempo e della luce.

Il legname per la carpenteria veniva preparato da tutti, nel corso dell’anno precedente, per averlo ben stagionato. In genere gli alberi si tagliavano durante l’estate, in modo da utilizzare i rami frondosi come alimentazione per il bestiame, in un periodo di assenza di foraggio fresco : della natura si utilizzava tutto, senza sprechi.
Un nuovo Nuraghe si costruiva se, per motivi contingenti (risorse abbondanti, stagioni favorevoli, assenza di malattie gravi), il numero degli abitanti di un villaggio fosse cresciuto oltre un certo limite. Allora, si sarebbero creati problemi di pascolo, o di distanze troppo elevate da percorrere con il gregge, per cui, quando la popolazione aumentava troppo, qualcuno decideva di spostarsi di qualche kilometro per costruire un altro Nuraghe.
In genere, ci si allontanava di uno÷due kilometri, fin dove c’era una valle, un ampio spazio libero da Nuraghi e da pastori, ove c’era la presenza di una sorgente o di un fiume, ma sempre nei dintorni, se possibile, per stare vicino ai parenti, agli amici, al clan in generale.
Questo spiega i più o meno numerosi Nuraghi concentrati in un territorio, con un certo intervallo con il gruppo di nuraghi vicini.

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mercoledì 11 luglio 2007

Divisione del lavoro.

La Civiltà Nuragica era basata essenzialmente sulla pastorizia e sulla raccolta di alimenti spontanei, solo in minima parte sull’agricoltura.
Nelle città sorte nel Medio Oriente, vi era una grande differenziazione tra i cittadini : vi erano artigiani, artisti, sacerdoti, guerrieri, commercianti, ecc. oltre agli agricoltori e pastori.
La specializzazione del lavoro era possibile solo nelle città, dove chi produceva gli alimenti ne versava una parte a chi si dedicava ad altri lavori. A volte in cambio di attrezzature o servizi resi, altre volte perché costretti in qualche modo a pagare la “decima” (cioè le tasse), ad una classe sociale prevalente, o ad un popolo conquistatore.
Questo nelle città.

Ma in Sardegna, dove le prime città sono sorte con l’arrivo dei Fenici, l’organizzazione sociale era limitata alle tribù più numerose, verso la fine della civiltà nuragica.
Non che non esistessero i vasai, gli spaccapietre, i boscaioli, o tutte le varie forme di specializzazione del lavoro, ma la stragrande maggioranza delle persone era in grado di svolgere quotidianamente, o periodicamente, tutti i lavori che si rendevano necessari.
Non tutti erano capaci di costruire un nuraghe, ma tutti vi prendevano parte anche solo come manovali.
Chiunque sapeva mungere le pecore e fare il formaggio; anche se non vi si dedicava tutti i giorni.
Conosco persone che sanno fare oltre cento mestieri diversi : molti in maniera “professionale”, altri in modo più o meno approssimato, ma comunque sono in grado, per necessità, di portare a termine, e anche bene, il loro compito.

Un popolo di pastori, disperso nel territorio in nuclei monofamiliari o poco più, non aveva un’organizzazione del lavoro in senso specialistico, ma tutti sapevano fare tutto !

La specializzazione in qualcosa, era più un “secondo lavoro” esercitato nel tempo libero, piuttosto che un’attività principale, che era, sempre, quella di procurarsi il sostentamento.
Prima si pensava al gregge, alla raccolta e alla preparazione del cibo, alla sua conservazione. Poi si diventava vasaio, calzolaio, carpentiere, ecc.
Chi era più bravo a produrre qualcosa, non lo faceva in serie, ma su ordinazione, in cambio di lavoro o di alimenti o di attrezzature.
Per esempio, chi aveva una coppia di vacche da lavoro, dopo averle utilizzate per le proprie necessità, si prestava ad effettuare trasporti di legna, di foraggio, di pietre, o ad arare un campo, per un vicino che glielo chiedeva. Oppure chi possedeva un’accetta (ed erano pochi fortunati), si specializzava nel mestiere di “taglialegna”.
Molto raramente, però, qualcuno si dedicava ad un mestiere a tempo pieno : anche perché, fino all’avvento del commercio sistematico e organizzato, la produzione di beni era limitata al consumo familiare o di pochi vicini.
Per gli scambi un po’ più simili al nostro commercio, si aspettavano le “feste”, nelle zone a ciò adibite (spesso intorno a un pozzo sacro, come a S. Cristina). Qui si scambiavano le eccedenze o le produzioni specialistiche, con attrezzature, utensili, stoviglie, animali, ecc. Qui si scoprivano le novità, ci si scambiavano conoscenze e notizie.

La specializzazione del lavoro, un esercito, una flotta, ecc. sono possibili solo nelle città.

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martedì 10 luglio 2007

Vita nuragica.

Nell’epoca nuragica, come nelle campagne di tutta Italia fino a 50 anni fa, si viveva all’aperto dall’alba al tramonto, impegnati nel duro lavoro per procurarsi il necessario.
Solo di notte si rientrava in casa, e solo per dormire.
Si mangiava seduti per terra, si beveva dallo stesso contenitore, e si ricominciava subito a lavorare.
Spesso i lavori si facevano in comune, per il semplice motivo che le attrezzature erano scarse : non tutti avevano i buoi e l’aratro, né l’accetta per tagliare gli alberi, né le mazze pesanti per rompere le pietre. Forse nemmeno i coltelli per lavorare la carne, o le forbici per tosare le pecore !
Quando c’erano i grandi lavori da fare in comune, il pranzo veniva offerto dal beneficiario del lavoro di quel giorno ; e alla sera si mangiava sull’aia, davanti alle capanne, su rozze tavolate all’aperto. Una cena più abbondante, con più portate, calda e saporita, perché la giornata era stata fruttuosa.
Il giorno dopo, se si lavorava per un altro, amico o parente, o un semplice conoscente,  si era ospitati, per il cibo, da quella famiglia.

La pastorizia deve essere esercitata sul posto : allora, non c’erano reti e filo spinato, per cui il gregge doveva essere sorvegliato e seguito, sempre !
E la sera si tornava a casa.
Perciò le distanze da percorrere dovevano essere quelle che gli animali, brucando, riuscivano a fare in mezza giornata, meglio se intorno al Nuraghe.
Spesso erano i bambini a badare al gregge.
Ecco perché i Nuraghi erano sparsi sul territorio : ogni famiglia aveva il pascolo necessario per vivere, intorno al Nuraghe.

I Nuraghi di un certo territorio costituivano una sorta di villaggio diffuso.
Dove ogni famiglia era padrona del pascolo circostante, con confini ben definiti e inviolabili, nel rispetto delle regole accettate da tutti.

Ogni famiglia aveva a disposizione 100÷400 ettari, intorno al Nuraghe.
Con legname, alberi da frutto, cereali, verdure selvatiche e animali : tutto in abbondanza.
Tutto il territorio era ben conosciuto e veniva sfruttato con abilità e sapienza. Inoltre veniva migliorato, anno dopo anno, al fine di ottenere risorse sempre più varie e abbondanti : si piantavano alberi, si diffondevano cereali e legumi, si favorivano le colture migliori.

Forse questo è stato il segreto del successo (una sorta di capitalismo ante litteram) : la famiglia lavorava soltanto per sé, e tutti contribuivano al benessere della famiglia. Inoltre, la capillare dispersione degli abitanti nel territorio, permetteva una gestione efficace del tempo dedicato al lavoro : non c’erano da percorrere lunghe distanze, perché era tutto intorno al Nuraghe. E il risparmio di tempo ottenuto, favoriva la socialità e la coesione del “villaggio diffuso”.
E non si creavano occasioni di liti e di scontri con gli altri.

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lunedì 9 luglio 2007

Nuraghe, abitazione ideale.

Il Nuraghe era ideale per la notte : a piano terra, la stalla per gli animali, con le nicchie-mangiatoia riempite di foraggio ; sui soppalchi, a cui si accedeva tramite una scala di legno che saliva dall' ingresso o dalle nicchie, dormivano le persone.
Non c’erano i vetri, ma non c’era bisogno di finestre per la notte, né di luce. Di aria, mancando le porte a tenuta, ce n’era anche troppa. Dal soppalco si poteva vedere la luce dell'alba, attraverso il finestrino sopra l'architrave.
Di notte, sotto le coperte, nel Nuraghe a temperatura costante, si dormiva in modo più confortevole che nelle case del secolo scorso, dove, senza riscaldamento e con le mura sottili, si avevano sbalzi termici micidiali.
Dal soppalco si poteva accedere al mezzanino (S. Antine), o alla "scala di camera" per i piani superiori e per il terrazzo (Is Paras).
Nel Nuraghe dormiva tutta la famiglia, a volte allargata al figlio sposato, a zie e zii, cugini e nipoti, ecc.
Nel Nuraghe non si poteva accendere il fuoco, ma nelle notti d'inverno, con un braciere si poteva conservare il fuoco e ci si riscaldava fino all’alba.
Pensate al volume fruibile del Nuraghe (non si abitavano le pietre) : nel Nuraghe si poteva utilizzare solo la camera che era grande come una stanza odierna (4 x 4 metri). Con il soppalco si raddoppiava lo spazio (o si triplicava).

All’interno dei Nuraghi sono stati rinvenuti numerosi reperti che testimoniano la funzione abitativa di questi monumenti.
Oltre agli oggetti di uso quotidiano sono stati trovati resti di numerosi focolari al centro delle camere ogivali : forse, si potevano usare le braci per cuocere i cibi e, contemporaneamente, si scaldava il Nuraghe. Oppure, più probabilmente, i focolari riguardano tempi successivi.

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sabato 7 luglio 2007

Il Nuraghe è la vita.

“L’uomo, in ogni tempo, ha spiegato tutti gli sforzi per formarsi un luogo di rifugio, per la sicurezza della vita e delle sostanze.”
Questa frase del canonico Spano, riassume tutta la “filosofia di vita” di allora e, forse, anche di oggi.
La vita vuole sicurezza : nell’abitare, nel procurarsi il cibo, nel disporre di esso in abbondanza e in ogni momento dell’anno.
Il Nuraghe dava questa garanzia : sicurezza, in primo luogo; poi protezione dal caldo, dal freddo, dagli incendi, dai malintenzionati.
La Sardegna, allora, era ricoperta di boschi secolari, fittamente disposti. Il pascolo per il gregge, veniva spesso ottenuto con l’ausilio del fuoco.
L’incendio di un bosco non si può fermare nemmeno oggi, figuriamoci allora !
E non era nemmeno facile sfuggire al fuoco.
Il Nuraghe permetteva di salvare uomini e animali ; foraggio e cereali ; carni e formaggio.
Ma, soprattutto, e lo ripeto : uomini e animali, cioè la vita !
Senza di esso, si rischiava di finire arrosto ogni estate o di restare senza gregge; senza il quale la morte sarebbe comunque arrivata, per fame.

Se la Civiltà Nuragica ha avuto quel successo che è sotto gli occhi di tutti, è perché essa ha trovato il modo di limitare la mortalità infantile, e di far sì che i suoi figli diventassero adulti forti e sani. Ha ottenuto questo risultato, perché è riuscita a vincere la fame e le precarietà legate alle annate sfavorevoli, ed è riuscita a conservare il cibo per i periodi di carestia, sia per gli uomini, che per gli animali.
Tutto questo è dovuto alla presenza del Nuraghe, che ha consentito questo sviluppo.
Il Nuraghe è l’essenza della Civiltà Nuragica : dal Nuraghe non si trae soltanto il nome di un’epoca, ma l’epoca stessa non ci sarebbe stata senza il Nuraghe. 

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giovedì 5 luglio 2007

Desertificazione in Sardegna.

C’è stato un recentissimo convegno, ad Alghero, poco pubblicizzato o forse, per soli addetti ai lavori, ( come se al grande pubblico l’argomento non dovesse interessare ).
Un’altra occasione mancata per fare opera di divulgazione e per coinvolgere i cittadini intorno a un problema che li riguarda da vicino.
Le cause della desertificazione sono molte, e tutte individuate con precisione. Ma di rimedi possibili, neanche una parola.
Sono trent’anni che faccio l’agricoltore in Sardegna : ho piantato, nella mia piccola campagna, qualcosa come 2000 alberi, di circa quattrocento specie diverse ( tra alberi e arbusti ).
A parte gli alberi da frutto che non vivono senz’acqua, tutte le altre specie, sono adatte al clima mediterraneo e un po’ arido dell’Isola.
In Sardegna piove in autunno e fino all’inizio della primavera : vegetano benissimo tutte le piante sempreverdi, che hanno due cicli di vegetazione all’anno.
Mi sono meravigliato di come, in pochi anni, le piante siano cresciute, in altezza e in splendore. Non me lo aspettavo, viste le teorie di cui sopra !
Nel mio terreno ci sono sì e no, cinque centimetri di terra, sopra la roccia basaltica, quasi compatta. Le piante hanno trovato il loro habitat radicale tra le pietre, e sono cresciute per oltre quindici metri, in altezza : c’è un bosco compatto e lussureggiante, cresciuto senza necessità di acqua, in zona a rischio desertificazione.

Quello che volevo dire, è questo : invece di dissertare, perché non si piantano alberi dappertutto, e non si ricreano le condizioni per uno sfruttamento economicamente valido per i boschi ? Così da ottenere anche nuova occupazione ?

La pastorizia che ha avuto necessità di pascoli estesi, ora sta regredendo, lentamente. E i terreni sono pian piano abbandonati : perché non si fa una legge per ripristinare la copertura boschiva in Sardegna ?
Se dopo 10 anni di abbandono, i terreni incolti non vengono rimboschiti dal proprietario, la Regione potrà intervenire e piantarvi alberi. ( Anche su richiesta, e gratis, prima dei dieci anni ).

La seconda causa di desertificazione sono gli incendi. Anche qui, c’è chi propone di combattere gli incendi estivi con gli incendi invernali : bruciare il sottobosco, bruciare gli incolti, ….. bruciare tutta la Sardegna ! ... Ma solo per evitare i furiosi e pericolosi incendi estivi !

Il fuoco distrugge la flora e la fauna anche d’inverno, ma chi comanda non lo sa, o finge di non saperlo !
Nel sottobosco vegetano le nuove piantine, nate dai semi, e molti arbusti di varie specie adattate all’ombra, ma soprattutto c’è una microfauna che verrebbe distrutta dal fuoco. O forse, si fanno traslocare le formiche nel campo vicino, prima di accendere il fuoco ? Ma le formiche non interessano a nessuno : meglio le cicale !

Il fuoco fa quel deserto, che si teme stia per arrivare !

Per evitare gli incendi, bisogna educare i cittadini alla cultura del bosco, creare parchi per visite naturalistiche, con percorsi guidati tra le specie animali e vegetali.
Bisogna educare all’amore per la natura, solo così si otterranno risultati concreti.

PIANTA UN ALBERO e poi ….. ASPETTA !

lunedì 2 luglio 2007

Nuraghe come abitazione.

Questo mio piccolo lavoro, di studio, di osservazione, di ricerca, mi ha portato a concludere, senza tema di essere smentito (!), che i Nuraghi sono stati le abitazioni del popolo che è vissuto in Sardegna nel Secondo Millennio a.C.

E ciò, principalmente, per i seguenti motivi :
1- Il numero elevato di Nuraghi, che si concilia soltanto con la funzione abitativa.

2- Il limitato numero di abitanti per ciascun Nuraghe : 10 per i monotorre ; da 30 a 100 per i Nuraghi complessi, con villaggio annesso.

3- La dispersione, quasi uniforme, nel territorio : il pascolo utilizzabile dai suoi abitanti, con il Nuraghe al centro. Una simile ubicazione ha senso soltanto se finalizzata allo sfruttamento del territorio circostante.

4- Le caratteristiche architettoniche dei Nuraghi : sono specifiche e peculiari per un’abitazione, isolata nel territorio.

5- La presenza di una sorgente, o del fiume, o del pozzo : l’acqua, fonte di vita per l’uomo e per gli animali.

6- I materiali rinvenuti nei Nuraghi : focolari, suppellettili, vasellame, macine, ecc.
Tutti finalizzati all’uso quotidiano.

Qualsiasi altra destinazione d’uso, a meno di non affermare che in Sardegna, nella preistoria, abitavano milioni di persone, è chiaramente priva di fondamento.

Il problema è tutto qui. Sorge da questo equivoco di fondo : l’entità della popolazione presente in Sardegna nel 1500 a.C.
( Secondo la mia stima, essa poteva variare da 80.000 a 120.000 persone, per essere generosi ! ).
In ogni Nuraghe monotorre, ( tipologia che rappresenta il 70÷80% del totale ), vivevano, mediamente, 10 persone : una sola famiglia.

Quindi, si è liberi di chiamarli “castelli”, “palazzi reali”, “templi”, “fortezze”, “osservatori astronomici”, "fari" e "porti", ecc.

Ma erano soltanto abitazioni .

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