Felice anche lui, raccolse fischiettando una manciata di semi di finocchio selvatico e lo sparpagliò nello spiazzo, davanti alla gallina, quasi a mo’ di ringraziamento. Spettava sempre a lui cercare le uova sparse nei vari nidi nascosti, perché solo lui riusciva a scovarli, e ogni giorno portava 5÷6 uova alla mamma, che se ne serviva per fare la frittata con la pancetta o la torta, con miele e mandorle, che a lui piaceva tanto.
Aiutava la mamma a non far spegnere il fuoco (perché i fiammiferi non c’erano) e se si spegneva bisognava andare dal vicino del Nuraghe Ruju a chiedere una pentola di braci.
Nelle lunghe notti d’inverno la mamma gli portava vicino al letto un braciere con il coperchio forato, pieno di carboni ardenti, che gli stemperavano l’aria fredda e umida, regalandogli un dolce tepore fino all’alba.
La sera, prima di coricarsi, si coprivano le braci roventi del focolare con un bel po’ di cenere, per impedire all’ossigeno dell’aria di consumarle tutte, in modo che all’alba con un po’ di paglia e legnetti secchi, il fuoco riprendesse a scoppiettare.
Il fuoco era importante per la
Il fuoco era difficile da accendere, perfino nel secolo scorso : ricordo che, da bambino, giocavo spesso con i miei compagni “a chi riusciva ad accendere il fuoco senza fiammiferi” (i quali si sono diffusi soltanto nel Novecento). Si utilizzavano vecchi pennini di acciaio, sfregati contro una pietra dura, la selce, che si portava sempre in tasca perché difficile da trovare.
Gli altri metodi, che si imparano di solito frequentando gli “scouts”, sono molto più complessi e soprattutto di incerto risultato.
Gli antichi, che non avevano i fiammiferi, e nemmeno l’acciarino, dovevano essere proprio bravi per riuscirci ! Ecco perché cercavano di conservarlo sempre acceso : usavano una grossa buca circondata da un anello di pietre, dove ardevano sempre le braci, notte e giorno. Se si spegneva era preferibile farsi qualche kilometro, con le braci gentilmente prestate dal vicino, piuttosto che sudare sette camicie per tentare di riaccenderlo.
Ecco perché il fuoco era sacro, e un po’ divino. A Roma esistevano le sacerdotesse del tempio dedicato alla dea Vesta, il cui compito era di tenere sempre acceso il fuoco sacro.
Attorno al fuoco si riuniva la famiglia ; spesso, attorno al fuoco comune, si passava la sera a raccontare fatti ed esperienze, favole e miti ; si discuteva di problemi e soluzioni, di sogni e progetti, di gioie e di dolori.
Il fuoco era aggregazione e vita, illuminava e proteggeva.
Ma era anche temuto e rispettato.
Perché, a volte, il fuoco era distruttore : negli incendi dolosi o colposi, nelle guerre tra clan, o quando sfuggiva mentre si usava per “pulire i pascoli”.
Nuraghe come difesa dal fuoco.
Dovunque passa, il fuoco distrugge la vita. Servono secoli per riavere l'equilibrio spezzato.
Continua ...
1 commento:
Se è riferito ad un uomo preistorico o a un uomo dei giorni nosrti saper accendere un fuoco è molto difficile.
Ma per i sardi nuragici accendere il fuoco era un esercizio molto facile insegnato ai bambini in tenera età e di padronanza alle donne.
i metodi conosciuti erano diversi usano adesempio una "lanetta" tipo cotone emostatico che rilascia un fungo ( non ricordo il nome adesso)che una semplice sgheggia di pietra fuocaia accende immediatamente.Oppure la classica accensione per sfregamento supportata però da un attrezzo ingegnoso una pietra tipo una ciambella libera di ruotare in un asta di legno attraverso delle corde imprimeva una forza centrifuga rotatoria atta anche a forare..ecc.ecc. il fuoco per cui per la civilta sardo nuragica non era un problema.
sandro.www.nuraghediana.it
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