lunedì 10 dicembre 2007

Abolire le province.

La somma dei bilanci di tutte le province italiane, nel 2006, ammonta a 115 miliardi di euro ( fonte UPI- Unione Province Italiane).
Un quarto, circa, viene speso in servizi : manutenzione di alcune strade, delle scuole, ecc.
Il resto, tre quarti, serve per mantenere il loro apparato burocratico.
Significa che, per organizzare tali spese, e per decidere come spendere 30 miliardi, sono necessari quasi 90 miliardi !
Spendi 1 e paghi 4 !!!
Quale economia folle, riesce ad arrivare a tanto ?
Perciò, abolire le province è un obbligo morale.

Ma non si devono creare nuovi carrozzoni, come assemblee di sindaci, o altro. Bisogna abolirle tout-court, e far passare le loro funzioni ( poche ) ai Comuni e alle Regioni.
Si risparmierebbe così tanto da far sparire il Debito Pubblico, in pochi anni.
Con i soldi risparmiati, si potrebbe creare lavoro per tutti !

Le province, dovevano scomparire quando sono state create le Regioni : invece sono ancora lì. A sperperare i soldi pubblici.

Perché non facciamo un Referendum ?

Volete abolire le province ? SI o NO.

Senza quorum. Senza “azzeccagarbugli”. Senza scampo !

Oppure, più semplicemente, basta fare una legge, piccola, piccola.
Articolo 1.
Le province sono abolite.
Punto.

Con la creazione delle aree metropolitane, le province di Milano, Roma, Napoli, Torino, Genova, Firenze, Bologna, Venezia, Bari, Cagliari, Palermo, ecc. verrebbero di fatto abolite ( speriamo ! ). Perché non continuare, abolendo anche le altre ?
Le Aree Metropolitane si occuperebbero dei problemi delle Città-metropoli, le Regioni per il resto del territorio.

5 commenti:

Anonimo ha detto...

Abolire le Province?
Ma qualcuno si riconosce nelle Regioni?
Forse gli abitanti del Capoluogo!
Le Regioni sono enti che emanano norme non necessarie (come se non fossero sufficienti quelle esistenti) e, al 70% del proprio bilancio, servono a gestire il carrozzone della Sanità.
Per il resto delegano e controllano finanziamenti.
Ecco, a che servono le Regioni, distanti dai Comuni e dai Cittadini.
Forse molto meno distanti dai politici.

Anonimo ha detto...

Il problema è che siamo in Italia!
Le Province sono state identificate come il molock da demolire.
Perchè?
Perchè è molto più facile lavarsi la coscienza spuntando l’iceberg piuttosto che mettere le mani dove in effetti gli sprechi non si contano.
In effetti le Regioni, enti senza storia e lontane dai cittadini, sono l’esempio lampante degli sprechi.
Consulenze, nomine, contributi e prebende varie non riescono a nascondere un impianto burocratico da far paura al buon Kafka.
Però sono governate dai cosiddetti “Governatori”: mai termine fu peggio utilizzato di così.
Chi di voi si è mai recato in Regione?
A me, prima di cambiar lavoro, mai m’era capitato in 35 anni di vita.
Io, personalmente, al di la’ dell’Ente, identifico le mie radici nella Provincia in cui abito (ed abito in un capoluogo). L’entità regionale è quanto di più distante dal mio essere.

Anonimo ha detto...

Sono un semplice cittadino che fino a qualche tempo fa ero un sostenitore convinto dell’utilità della Provincia, oggi invece sono per l’abolizione delle provincie e condivido questa linea già espressa nell’ultima campagna elettorale anche se adesso purtroppo più nessuno sembra parlarne.
Secondo me l’errore di fondo che si fa è quello di insistere sul fatto che ci voglia per forza un ente intermedio tra i comuni e gli alti vertici istituzionali che non fa altro che aumentare il livello di burocrazia, secondo il mio modesto parere credo che la parola d’ordine dovrebbe essere quella di semplificare le istituzioni perché solo così l’Italia potrà progredire. Le città devono avere più poteri una cosa è certa per raggiungere questo traguardo è necessario l’eliminazione delle provincie che rappresentano un ulteriore e per questo assurdo passaggio burocratico in più che si può eliminare e che invece soffoca l’autonomia locale, con la loro eliminazione si ridurrà anche la burocrazia che tradotto in parole semplici significa più celerità dei poteri decisionali e meno costi per lo Stato e di conseguenza si avrebbero più risorse da impiegare per le strutture e lo sviluppo locale. L’eliminazione di questa Istituzione è strettamente legata secondo la mia modestissima opinione alla riforma dei comuni in caso contrario con l’attuale status equo abolire le Provincie non credo che sarà possibile perché l’architettura istituzionale ne soffrirebbe e la loro mancanza si ripercuoterebbe con effetti negativi sul sistema politico/amministrativo dello Stato.
Questo tipo di riforma ha già interessato negli anni 70 i Paesi del nord Europa come nel caso della Svezia, che abolì le provincie creando città molto più grandi accorpando i comuni piccoli a quelli più grandi e sono regolati da un atto di governo in cui è stabilito il livello di autonomia locale e assieme formano le Contee che corrispondono alle nostre Regioni italiane. Un sistema questo che, secondo il mio modestissimo parere propongo qui di seguito, sostituirebbe in pieno le cosiddette aree metropolitane che invece sono inutili e lesive per l’identità di una comunità locale, ed è anche, a differenza del modello svedese a cui si ispira questa mia idea, molto più rappresentativo perché non scomparirebbero i comuni di riferimento del comprensorio che anzi verrebbero valorizzati assieme a tutto il territorio circostante.
Per questo motivo credo modestamente che è necessario congiuntamente all’abolizione delle provincie attuare la riforma dei comuni come è già avvenuta in altre nazioni del nord Europa e cioè accorpare i comuni piccoli al comune di riferimento più grande del proprio comprensorio realizzando città più grandi che insieme formano la propria Regione, mentre le prefetture e tutti gli uffici dello Stato continuerebbero a restare negli ex capoluoghi di provincia e potrebbero essere decentrati nelle città del territorio dell’ex provincia di appartenenza. Per la precisione l’Italia conta 2800 comuni una babilonia! Assurda per un Paese civile del 2000.
Mettiamo in luce i termini di queste “grandi città” suddivisi al loro interno da municipalità corrispondenti ai vecchi comuni: una Regione popolosa come la Campania con 551 comuni eliminando le 5 provincie significherebbe portare a 30 massimo 40 i comuni di tutta la Regione, credo che sarebbe l’ideale, e così, questa media, un po in tutto il Paese. Ovviamente deve essere tutto proporzionato alla popolosità e ai centri urbani già presenti. Le “città”, in questo disegno virtuale che stiamo facendo, potrebbero essere anche 70-80 in Regioni come Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Toscana, Puglia, Sicilia, sarebbero 2-3-4 in Valle d’Aosta, Trentino Alto Adige, Molise, Basilicata … 5-6 in Umbria, 15-20 in Abruzzo, 20-30 nelle Marche, in Sardegna, in Friuli, in Calabria e Liguria … Ai sindaci andrebbero aggiunte le attuali funzioni del Predente della Provincia e poteri ordinari in materia di pubblica sicurezza. I Sindaci delle città a loro volta formerebbero la camera dei sindaci presso la propria regione che inoltre si comporrebbe con attuale giunta e consiglio regionale, i sindaci potrebbero deliberare su determinate questioni assieme alla giunta regionale, a quest’ultima però verrebbe riconosciuta l’esclusività di legiferare anche su altre materie, mentre su questo ultimo punto i sindaci potrebbero solo mediare, ma non in modo vincolante, con il consiglio regionale sulle leggi da applicare a cui spetterebbe il parere finale. Così la città potrebbero godere di ampia autonomia e di pari dignità con tutte le altre, mentre alle città capoluogo di regione verrebbe concesso il solo privilegio in determinati casi di trattare i propri interessi con le istituzioni centrali senza essere subalterni alla Regione.
Insomma potremmo vivere in realtà più grandi e finalmente moderne, questa è la mia idea, cosa ne pensate?

Anonimo ha detto...

Sono molto interessato alla questione, ma potreste cortesemente dettagliarmi la composizione dei 115 miliardi, siccome i documenti ufficiali parlano di un totale di circa 16/18miliardi.
Saluti

Gaspare Serra ha detto...

“LA PROVINCIA NON SERVE? NON LA VOTO!”


ECCO PERCHE’ LE PROVINCIE SONO “ENTI INUTILI” (O NON INDISPENSABILI):

Sono molteplici le ragioni che ci spingono a rivendicare la soppressione dell’ente provincia. Come più importanti, possono indicarsi le seguenti:

I- RAGIONI D’ECONOMIA DELLA SPESA PUBBLICA:
Le province italiane hanno raggiunto quota 107: 12 nuove province sono state create solo negli ultimi anni!
Nel 2006 la somma dei bilanci di tutte le province italiane ammontava a 17 miliardi di euro (fonte UPI). Di questi soldi:
• il 73% è stato destinato a spese correnti (per il mantenimento delle Province stesse: personale, affitti, bollette, spese di rappresentanza, auto blu, ecc.)
• mentre soltanto il 27% in investimenti (servizi forniti ai cittadini: manutenzione strade, scuole, ecc.).
Ciò vuol dire che:
• ben 3/4 dei soldi spesi dalle province servono al “mantenimento” delle stesse province
• mentre solo 1/4 vengono utilizzati per i servizi ai cittadini!
In media, ogni politico provinciale ha un costo annuale di euro 27.400. Considerando che i soli consiglieri provinciali (senza considerare assessori e consulenti) ammontano a circa 3.000, ognuno può ben trarre le sue conclusioni!
La soppressione delle province:
• permetterebbe un enorme risparmio per le casse dello Stato
• e costituirebbe un chiaro segnale di volontà di riformare la macchina amministrativa a vantaggio della semplificazione di un sistema inefficiente e dispendioso.

II- RAGIONI DI SEMPLIFICAZIONE E MAGGIORE EFFICIENZA DEL SISTEMA ISTITUZIONALE:
Dopo la costituzione delle Regioni ordinarie (nel 1971) e la riforma del Titolo V della Costituzione (nel 2001), le province costituiscono l’ente territoriale:
• con minori competenze (poche funzioni ed “intermediarie” tra Comuni e Regioni)
• e maggiormente “inefficiente” nel rapporto costi sostenuti-servizi offerti.
L’introduzione delle città metropolitane (costituzionalizzate nel 2001) rischia di creare un’interferenza a livello organizzativo (oltre che funzionale) tra le costituende aree metropolitane e le province.
Nell’ottica del “federalismo fiscale”, infine, la soppressione delle province servirebbe ad evitare il rischio di una moltiplicazione dei centri di spesa.

III- PERDITA DEL RUOLO STORICO E DELLA RAPPRESENTATIVITA’ DELL’ENTE:
Le province non sono avvertite dal cittadino come un riferimento amministrativo “indispensabile”: in pochi, interrogati sul punto, saprebbero rispondere:
• circa le competenze della provincia
• o sulle ragioni per cui tali funzioni non facciano capo alla regione o all’amministrazione comunale.
A livello provinciale l’introduzione dell’elezione diretta del presidente non ha determinato il rafforzamento di un rapporto virtuoso tra rappresentanza e responsabilità (invece chiaro per il sindaco e per il presidente di regione).
La rappresentatività politica degli eletti negli organi provinciali (secondo tutti i sondaggi disponibili) è al livello più basso tra quello di tutte le istituzioni!
Il generale “disinteresse” della gente per le province, così, si riflette nei dati elettorali: nella tornata amministrativa del 27-28 maggio 2007:
• mentre il 73,95 per cento degli aventi diritto al voto ha partecipato alle votazioni per le elezioni comunali,
• solo il 58,08 per cento ha preso parte a quelle provinciali (fonte: Ministero dell’interno).


ECCO PERCHE’ "NON VOTARE" ALLE PROSSIME ELEZIONI PROVINCIALI E’ L’UNICA OPZIONE POSSIBILE ...

Dal 14 marzo ha preso ufficialmente avvio la campagna nazionale “LA PROVINCIA NON SERVE? NON LA VOTO!” (http://www.nonservenonvoto.it/cms).
Si tratta di un comitato (libero, apartitico, aconfessionale e senza fini di lucro) formato da liberi cittadini, associazioni e gruppi spontanei, che si prefigge un obiettivo comune: PROMUOVERE UNA CAMPAGNA NAZIONALE D’ASTENSIONISMO IN VISTA DELLE PROSSIME ELEZIONI PROVINCIALI (in cui gli elettori di ben 73 delle 107 province italiane saranno chiamati al voto).

Non votare (per le sole elezioni provinciali) è una azione di “disobbedienza civile” imposta dalla “extrema ratio”:
quando la politica (rinnegando le recenti promesse elettorali) si accinge spavaldamente ad accantonare ogni progetto di soppressione delle province per “ri-legittimare” le stesse col voto inconsapevole di noi elettori, a noi cittadini non rimane che un’unica arma da giocare: quella di “de-legittimare” le province!
Come? NON RECANDOCI ALLE URNE, con l’obiettivo di raggiungere una quota d’astensione superiore al 50%!
Traguardo ben più vicino di quanto possa sembrare, considerando che nella tornata elettorale amministrativa del 27-28 maggio 2007 (fonte: Ministero dell’interno):
- mentre il 73,95 per cento degli aventi diritto al voto ha partecipato alle votazioni per le elezioni comunali
- solo il 58,08 per cento ha preso parte a quelle provinciali
(il che sconcerta se si considera che l’affluenza al voto in molte delle province interessate è stata incrementata dalle contemporanee elezioni comunali!).

Pur comprendo le perplessità:
- di chi crede che il voto sia un “dovere” più che un “diritto”
- e di chi ritiene poco efficace tale forma di protesta (che non intaccherà direttamente gli interessi di chi conquisterà ugualmente le sue poltrone)
crediamo che la “strada per il cambiamento” non passi più per gli ordinari meccanismi della rappresentanza politica, di quella politica che unitariamente e trasversalmente:
- disattende ripetute promesse
- e non ascolta le esigenze condivise del Paese.
Anche se non è facile individuare la strategia migliore per combattere un intero “Sistema” unitariamente pronto a difendere i propri interessi (nonostante le parole -spesso di facciata- di qualche politico o partito), crediamo che “delegittimare” la classe politica provinciale (facendole mancare “massicciamente” il nostro consenso) sia l’unico possibile inizio!
Sappiamo bene che ciò non conseguirà risultati immediati: a prescindere dal “non voto”, la schiera dei “politicanti” pronti ad accaparrarsi gli emolumenti onerosi di qualche carica provinciale (elettiva o di governo) è già al lavoro!
L’astensione, però, non va interpretata necessariamente come espressione di “qualunquismo” o di mero disinteresse (almeno non è questo lo spirito con cui noi vogliamo affrontare questa campagna di sensibilizzazione). Non votare può rappresentare una reazione attiva di “disobbedienza civile” volta:
- a mobilitare le coscienze comuni
- a spingere la gente ad un non-voto “consapevole”
- ed a far crescere l’indignazione popolare contro la “Casta” autoreferenziale che ci governa a tutti i livelli!
Astenersi, perciò, può essere non solo il segno di una comune disaffezione per le istituzioni, per la politica, per la democrazia, bensì anche una rivendicazione dal basso di “più politica” (non meno): di più politica “del fare”, di meno politica “del dire”!

Solo quando difendere le province a discapito dell’interesse comune sarà una scelta politicamente “suicida” (comportando un “costo elettorale” notevole per i partiti), allora sarà possibile pronosticare qualche risultato utile ...


Gaspare Serra

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http://www.nonservenonvoto.it/cms